Monzambano, la piccola Toscana

Con questo post chiudo quel percorso iniziato lo scorso ottobre, e mi ripropongo di farlo in modo personale e più approfondito, perché Monzambano è un paese che ho frequentato diverse volte negli anni e che di conseguenza conosco meglio negli aspetti e nelle particolarità, rispetto almeno agli altri centri di cui ho narrato finora.

La sua storia si intreccia con quella dei comuni limitrofi, ma in ogni caso, facendo parte fin dal Medioevo del sistema difensivo veronese, insieme con Ponti, Peschiera e Valeggio, ha sempre avuto una notevole importanza dal punto di vista prettamente strategico, così come la ebbe il ponte che attraversa il Mincio appena fuori dal paese, oggetto di scontri, distruzioni e ricostruzioni soprattutto durante le guerre d’indipendenza.

Monzambano possiede anche un castello, ormai pittoresca residenza per alcune famiglie che ne hanno ricostruito gli spazi a scopo abitativo, ed è letteralmente dominato dall’imponente facciata barocca della Chiesa di San Michele, costruita su un’omonima chiesa preesistente.


Ritengo però che la parte più interessante di questo paese si trovi fuori dalle mura: a colpirmi di maggiormente è la sua campagna, con le sue colline ondulate, i terreni rigogliosi e ben coltivati, soprattutto nella zona che si estende verso Castellaro, sua frazione, e Pozzolengo.

Le viti e gli olivi, dominanti in questa zona, hanno reso possibile la comparsa di cascine, i cui nomi, come Casino, Cappe, Colombara Olfino, Moscatelli, Don Bortolo, Monte Oliveto, Valbruna raccontano di piccole comunità e famiglie dedite nel tempo alla cura della terra.

Molte di queste cascine sono state recuperate e parzialmente riconvertite in attività ricettive e cantine aperte al pubblico, creando così una rete di attività per l’accoglienza strettamente legate al territorio ed ai prodotti locali che, affiancandosi alle tradizionali trattorie propongono un’offerta di qualità per una domanda turistica sempre più ampia.

Alla fine degli anni novanta, il locale Fotoclub, operativo da decenni e ancora attivo oggi, in piena era digitale, ha curato un lavoro fotografico di documentazione del territorio rurale, che ha portato ad una mostra e all’edizione di un calendario per l’anno duemila.

Nella presentazione si leggeva: “La convinzione che uno dei compiti della fotografia sia di permettere allo sguardo di soffermarsi su una realtà che normalmente sfugge_ e non può essere diversamente recuperata_, ha guidato l’operato dei soci del Fotoclub, tracciando di conseguenza le linee del tema prescelto.”

Le immagini che corredano questo post mi sono state gentilmente concesse da tre amici di Monzambano, che del Fotoclub costituiscono il nucleo storico, e che molti anni fa mi accolsero nel loro sodalizio e tutt’oggi mi concedono la loro stima, che io ricambio sempre con grande piacere e sincerità: le prime due sono di Gianni Lonardi, le due centrali di Daniele Olioso e le ultime due di Pierino Bravi.

Garda Outdoors

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