I Borghi mantovani più belli d’Italia: un viaggio tra Sabbioneta, San Benedetto Po, Castellaro Lagusello, e molti altri.

La guida completa per non saltarne nemmeno uno e arrivare ben informati su tutte le meraviglie da visitare!

Paesaggi immersi nella natura, placidi borghi che sono set cinematografici a cielo aperto, meraviglie d’arte e luoghi pieni di storia: i borghi più belli d’Italia di Mantova sono una scoperta eccezionale! Destinazione perfetta per un weekend insolito e pieno di fascino a pochi km dal Lago di Garda, per chi vuole stare lontano dal caos, ma ama luoghi autentici, persone cordiali, bere e mangiare divinamente!

In questo articolo vi parleremo dei principali borghi mantovani che hanno fatto la storia di questo territorio: Sabbioneta, San Benedetto Po, Pomponesco, Grazie di Curtatone, Castellaro Lagusello, Volta Mantovana, Solferino, Monzambano, Rivarolo Mantovano, Goito e Castel Goffredo.

Sabbioneta.

Quando nel 2008 Mantova diventò patrimonio mondiale dell’Unesco, le fu affiancata anche Sabbioneta quale città ideale rinascimentale.

Sabbioneta era già un borgo medievale, affidato a fine ‘400 al secondogenito di Ludovico II Gonzaga, Gianfrancesco (entrambi rappresentati nella Camera degli Sposi dal Mantegna): così nacque la contea di Sabbioneta. Ma nel Cinquecento Vespasiano Gonzaga volle creare una città ideale, da zero: fece costruire ex novo il Palazzo Grande (l’attuale Palazzo Ducale – dimora del Duca quando era al governo), il Teatro all’Antica (primo esempio di teatro stabile in Europa, costruito da Vincenzo Scamozzi, già artefice del Teatro Olimpico di Vicenza) e il Palazzo Giardino (luogo di ozio e riposo) con la Galleria degli Antichi (la più lunga d’Italia dopo quella delle Carte geografiche in Vaticano e quella degli Uffizi a Firenze). La forma è una stella a sei punte (sei bastioni) con due porte, non in asse tra loro (anche per questioni militari): Porta Vittoria verso Cremona, Porta Imperiale verso Mantova. Insomma, anche a livello di fortificazioni era all’avanguardia.
Sabbioneta era una città-stato: batteva propria moneta, aveva una stamperia e due accademie: una di filosofia e una di matematica. Per Vespasiano la cultura era importante e tutti potevano partecipare alle lezioni. Purtroppo morto il figlio 15enne, Vespasiano rimase senza eredi; un altro matrimonio fu infruttuoso e il ducato tornò sotto Mantova. Ma Sabbioneta non venne più modificata e questa è la sua fortuna: si è cristallizzata in tutta la sua bellezza e grande patrimonio storico.

Da visitare ci sono anche alcune bellissimi edifici religiosi: la Chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo, Oratorio di San Rocco, Chiesa della Beata Vergine Incoronata (Mausoleo di Vespasiano).

Nei dintorni di Sabbioneta segnaliamo la spettacolare Chiesa di Sant’Antonio Abate a Villa Pasquali e poco più a nord, il ponte di barche sul canale Navarolo in essere dal 1976 (per trovarlo inserite nel navigatore “via G. Garibaldi Sabbioneta”). Il ponte è ancora attraversabile in auto. Dall’altra parte siete di fronte al Torrazzo Gonzaghesco di Commessaggio, con uno splendido scorcio sul paese e le sue case colorate.

San Benedetto Po.

San Benedetto Po, a sud del corso del Po, è strettamente legato all’Abbazia di San Benedetto in Polirone, uno dei siti cluniacensi più importanti d’Europa. Il monastero si chiama del Polirone, perché era su un’isola protetta tra il canale Po e il canale Lirone. Poi quando venne incanalato il fiume nacque il grande Po che conosciamo oggi (attorno al 1200).

Fu fondato nel 1007 da Tedaldo di Canossa (nonno di Matilde) sui terreni donati dalla famiglia. Costruì una piccola chiesa, dandola in gestione ai monaci benedettini; nei successivi 700 anni divenne uno dei complessi monastici più grandi d’Italia: pensate che tra il ‘300 e il ‘500 era più importante di Cassino! Nel 1420 entrò nell’influenza dei Gonzaga che lo affidarono alla congregazione di Santa Giustina di Padova; questo portò al coinvolgimento di Giulio Romano che rinnovò la chiesa. La storia del complesso monastico si concluse con Napoleone, che nel 1797 lo soppresse. Il terremoto dell’Emilia, terra di confine, del 2012 purtroppo fece ingenti danni ora sistemati.

Le mura che proteggevano il monastero non ci sono più, rimpiazzate o inglobate da case che hanno formato il borgo. Quindi l’immensa Piazza Teofilo Folengo, aperta e irregolare, si stende su due lati dell’ex monastero. Ex perchè oggi non esiste più: ora (chiesa a parte) è proprietà del Comune e le sue sale sono utilizzate per varie attività: ci sono l’asilo, la biblioteca, un centro sociale.

A sinistra guardando la chiesa trovate il Chiostro grande di San Benedetto; ha solo due lati, perché un porticato fu tamponato da Giulio Romano per realizzare le cappelle interne della chiesa, mentre l’ultimo fu abbattuto nell’800; così è diventato parte della grandissima piazza, una angolo naturale con un prato verde e qualche fiore. È il più grande dei 3 chiostri rimasti (su 5 che erano); passandoci regala un bel gioco di scorci con le arcate e la chiesa come sfondo.
Pochi passi e si giunge al chiostro di San Simeone, un’oasi di pace e silenzio. Si chiama così per il monaco eremita armeno che pare sia morto qui. Meraviglioso tardo gotico Lombardo tutto in cotto, con siepi di bosso geometriche e alberi di melograno. Giulio Romano ne fece affrescare le volte con le storie della vita di San Simeone. Una parte è collegata al vecchio oratorio di Santa Maria, la parte originaria della chiesa; del resto questo era il chiostro centrale del monastero: gli altri erano disposti sui quattro lati.

L’ex refettorio è visitabile e dà direttamente sulla piazza: è vicino al Chiostro di San Benedetto. Nel Novecento diventò una fabbrica di bottoni e quindi gli affreschi del soffitto e pareti sono molto rovinati. Ora ospita una prospettiva incompleta attribuita al Correggio attorno all’Ultima Cena di Girolamo Bonsignori; se vi avvicinate infatti vedrete che la tovaglia è ricamata sopra. Poi ci sono due statue di Begarelli, che Vasari definì il Michelangelo della terracotta: un San Simeone e una Madonna in terracotta armata, poi ricoperta in stucco e lucidata per sembrare marmo. È esposto anche l’unico frammento della facciata romanica originaria di Wiligelmo (lo stesso artista del Duomo di Modena) e qualche quadro moderno.
Al piano sotterraneo si trovano le cantine piccole, sede della parte archeologia del museo civico: ceramiche mantovane e reperti antichi della chiesa. A seguire le cantine grandi cinquecentesche con l’ampia collezione di carri da lavoro; infine gli strumenti per la produzione del vino: infatti sono stati i monaci a fare per la prima volta la spumantizzazione del Lambrusco e dello champagne in Francia.

La basilica abbaziale è il gioiello di San Benedetto Po e tuttora fa parte della rete dei siti cluniacensi. Fu modificata nel corso dei secoli: dopo la prima chiesa antica, il padre di Matilde e Matilde di Canossa stessa la ampliarono in stile romanico e gotico. Il genio di Giulio Romano incorporò queste architetture dandogli grazia e omogeneità; nel dettaglio raddoppiò la navata e per creare le cappelle laterali inglobò un porticato del chiostro. Inoltre rifece la facciata di Wiligelmo, a cui nel ‘700 venne sovrapposta una nuova facciata: si vede ancora il rosone antico al centro.
Le statue dei santi sulla parte destra del sagrato regalano fascino e sono ottime ispirazioni fotografiche.
All’interno della chiesa è meravigliosa la volta, con forme geometriche con all’interno le grottesche, tratto distintivo di Giulio Romano.

La zona più antica della chiesa è in primis quella dell’altare; chiusa da un cancelletto in metallo con l’effigie di San Benedetto. Alle spalle, nascosto alla vista, il coro, formato dagli scanni intagliati nel legno disposti a U. Qui i monaci si sedevano per cantare, con leggio girevole al centro. Attorno il deambulatorio dell’abside, spiccano le statue cinquecentesche del Begarelli.

La parte originaria della basilica è però l’Oratorio di Santa Maria, che era la chiesa primigenia. Matilde di Canossa la invertì e la collegò alla chiesa più grande che stava costruendo. Qui c’è la prima tomba di Matilde di Canossa, visto che morì a 3 km da qui. La si trova ancora nell’abside, con mosaico pavimentale del 1151 con le 4 virtù cardinali e alcuni simboli legati alla figura di Matilde.
Invece dall’altra parte della chiesa c’è la seconda tomba di Matilde, cinquecentesca, sorretta da 4 leoni rossi. Poi nel 1633 il corpo fu spostato nella Basilica di San Pietro a Roma. A fianco la sagrestia con i grandi armadi in legno e gli affreschi geometrici con grottesche, anch’essi di Giulio Romano.

Nei dintorni di San Benedetto Po segnaliamo il ponte di barche di Torre Oglio, il più antico ponte di barche dell’Oglio. Fino al 2000 c’era la figura del pontiere che lo gestiva, mestiere storico tramandato di generazione in generazione, ora sostituito da sistemi automatizzati che però sono meno sensibili alle condizioni del fiume: alla minima allerta viene chiuso al traffico, mentre il pontiere era più dinamico nel leggere le condizioni e lo chiudeva solo se effettivamente necessario. Proprio qui Ligabue ha girato una scena di Radiofreccia.

Pomponesco.

Il borgo di Pomponesco sorge sulla riva sinistra del Po e la sua storia è stata da sempre legata a doppio filo al fiume e ai commerci che qui si intrattenevano: dispone di un suo porticciolo e conserva ancora l’aria e le atmosfere di paese di fiume. Il territorio di Pomponesco passò di mano in mano tra Etruschi e Galli ma il suo nome deriva dal periodo in cui la famiglia romana Pompea si stabilì in zona: questa stirpe non fu l’unica ad apprezzare l’area mantovana e il paese finì tra i possedimenti di diversi potenti proprietari, come gli Este, il vescovato di Cremona, e i Gonzaga di Mantova.

Fu proprio un Gonzaga che segnò per sempre il destino di Pomponesco, trasformando il piccolo villaggio in un sogno idealistico e glorioso: Giulio Cesare Gonzaga. Il disegno urbanistico studiato a tavolino stravolse la struttura del tranquillo borgo fluviale e qui Giulio Cesare stabilì la sua residenza e portò la sua corte, dotando Pomponesco di enorme prestigio. Dopo la fine della dinastia Gonzaga e la perdita di importanza dei commerci sul fiume, Pomponesco resta ancora oggi un gioiello di inestimabile valore, sospeso nella quiete della campagna di Mantova.

La pianta urbana di Pomponesco è rimasta praticamente immutata fin dal tempi di Giulio Cesare Gonzaga, che sul finire del XVI secolo dal suo centralissimo castello fece dipartire due direttrici che divisero l’abitato in quattro aree distinte e simmetriche, ancora visibili. Oggi però al posto dell’antico castello del marchese, abbattuto dai francesi nel XVIII secolo, sorge la splendida Piazza XXIII Aprile, racchiusa da palazzi dotati di porticati nei quali un tempo dimoravano i cortigiani del Gonzaga. Quasi tutti gli edifici che fanno da contorno allo spiazzo sono databili tra il 1590 ed il 1630 e molti conservano ancora gli originali soffitti in legno e in rari casi anche gli affreschi dell’epoca. Piazza XXIII Aprile oltre che splendida architettonicamente è anche sede di ben 11 tra ristoranti, botteghe osterie ed enoteche tipiche.

Sulla piazza si trovano, uno di fronte all’altro, il Palazzo Comunale e la chiesa trecentesca di Santa Felicita e dei Sette Fratelli Martiri, che delineano il profilo dello slargo con le loro alte torri. Altro punto di grande interesse del borgo è l’elegante Palazzo Cantoni, proprietà un tempo di una facoltosa famiglia ebrea trasferitasi a Pomponesco per svolgere attività commerciali. Illustre discendente proprio di questa famiglia è Alberto Cantori, celebre scrittore che riposa oggi nel cimitero ebraico, proprio nei pressi del Palazzo.

Il Teatro 1900 completa l’offerta culturale del piccolo Pomponesco: uno dei teatri di paese, molto diffusi nella pianura padana nel secolo scorso.Tra gli eventi e le vicende che rendono Pomponesco fulcro di storia e cultura, c’è il fatto che la città ha dato i natali oltre che al già menzionato Cantori, anche a Gerolamo Trenti, tra i più noti esponenti del paesaggismo lombardo dell’Ottocento e che il paese è stato a più riprese scelto da grandi registi come location per i loro film: Zavattini, Soldati, Bertolucci e persino Brass e Terence Hill, hanno colto la suggestione scenica del paese facendone il set per le loro scene.

A pochi chilometri dal borgo, la riserva regionale naturale lombarda della Garzaia di Pomponesco è una superficie di ben 23 ettari fatta di aree boschive sulle quali hanno trovato fertile terreno numerosi salici bianchi, culla di specie volatili come le Nitticore, Garzette, Cavalieri d’Italia e Gufi. Sul grazioso porto di Pomponesco è poi possibile ammirare tipici casoni sul fiume e percorrendo gli argini del Po si riescono ad intravedere anse e spiaggette sabbiose, un tempo usate come colonie estive dei bambini ed oggi luogo di escursioni, passeggiate e incredibile relax.

Tra i più importanti eventi di Pomponesco sono da segnalare La Festa del Ringraziamento Pomponesco, in scena a novembre e organizzata dall’Associazione Giovani Agricoltori di Pomponesco in onore della ricorrenza durante la quale gli agricoltori ringraziavano il Signore per il raccolto ottenuto durante l’anno. Potrete assaggiare prodotti tipici e vedere inconsuete gare con mezzi agricoli. A fine agosto invece si svolgono due feste paesane davvero curiose. La prima è dedicata al Lùadèl, ovvero a un tipo di pane decisamente gustoso e famoso in queste zone che già ai tempi dei Gonzaga serviva ad attestare il raggiungimento della giusta temperatura dei forni delle case. Il suo nome deriva dalla parola lievito. Per assaggiarlo tutto il tempo dell’anno potete recarvi alla Panetteria Il Cesto.

Il secondo festival di fine estate è invece quello del Pulàc. Il termine deriva da pulàca che in dialetto mantovano significa pigrizia e svogliatezza: il festival della pulàca elegge simpaticamente il più fannullone tra i candidati del paese, in un clima goliardico e festoso. A Pasqua invece prende vita tra le strade del paese una scenografica Via Crucis, durante la quale decine di comparse rievocano la scena biblica con sentita partecipazione e profondo spirito cristiano, dando vita a una manifestazione davvero da non perdere.

Grazie di Curtatone.

Grazie di Curtatone, borgo di pescatori, è sorto attorno al Santuario della Beata Vergine Maria delle Grazie e ancora oggi è un gruppo di poche case raccolte attorno al grande Piazzale Santuario in cui svetta la grande chiesa. 

Tra i canneti vi era un altare con l’immagine della Madonna con Bambino alla quale i pescatori del Mincio facevano preghiere ed ex-voto per una pesca abbondante: così nacque il borgo nell’XI-XII secolo. Nel 1398 quando la peste colpì Mantova, anche Francesco Gonzaga fece un ex-voto alla Madonna delle Grazie; la città si salvò e l’architetto Bartolino da Novara eresse un grande santuario gotico, affidato ai frati francescani. Lasciti e donazioni resero il complesso ricco: alcune grandi famiglie mantovane costruirono qui le loro cappelle e persino Giulio Romano fu chiamato per abbellire la chiesa: perciò il santuario ha forme cinquecentesche. La sua opera si nota soprattutto all’interno; in particolar modo venne usato come mausoleo per alcuni membri della famiglia Gonzaga, tra cui Baldassarre Castiglione.
Ma poi perse importanza: nel 1782 il santuario fu trasformato in ospedale e la successiva spoliazione napoleonica lo privò degli ex-voto più importanti.

All’interno, negli affreschi delle lunette del porticato è illustrata la storia della chiesa (da destra a sinistra): da cappella di pescatori, alla peste, alla preghiera di Francesco I (1399), poi i lavori e l’inaugurazione nel 1406.
Esternamente il santuario non colpisce particolarmente, mentre dentro è molto particolare, per non dire strano. Vi è addirittura un coccodrillo appeso! Si notano soprattutto le impalcate della navata coi tantissimi ex voto: manichini a grandezza naturale con vestiti e armature fatte apposta dai francescani che gestivano il convento. In ciascuna lunetta è rappresentato il momento in cui la Madonna è intervenuta (tutto è descritto in terzine sotto – troverete storie incredibili). Poi sulle colonne feticci con parti del corpo di cera (quelle che dovevano guarire): cuori, mani, nasi, seni. Pura devozione popolare.
In fondo a destra in alto sono rappresentati i grandi personaggi venuti qui: papa Pio II Piccolomini, l’imperatore Carlo V e Filippo II.

Sui lati della navata si trovano le cappelle delle famiglie più facoltose di Mantova, chiuse con cancellate perché abbellite con oro; la prima a destra è la Cappella di San Bonaventura con affreschi di Giulio Romano sul soffitto e la tomba di Baldassarre Castiglione. Nell’altare maggiore c’è la Madonna delle Grazie, molto antica, e lo stupendo tempio votivo pensato da Giulio Romano la incornicia.

Segnaliamo inoltre la Fiera delle Grazie, che esiste addirittura dal 1425. Si svolge ogni 15 agosto nel grande piazzale della chiesa e vede all’opera i Madonnari, che disegnano sul piazzale coi gessetti colorati.

Cosa fare inoltre a Grazie di Curtatone? Un’escursione sul fiume Mincio! Proseguite nella stradina dietro la chiesa che vi porta in uno splendido parco sulle rive del fiume: proprio lì c’è l’attracco per un giro in battello con I Barcaioli del Mincio. Potrete vedere flora e fauna del territorio e in piena estate ammirare la spettacolare fioritura di fior di Loto. Un’escursione unica nel suo genere.

Castellaro Lagusello.

Castellaro Lagusello un minuscolo borgo che contende a Borghetto sul Mincio la supremazia tra i paesi più ammirati e visitati della cintura morenica del Lago di Garda e ne condivide inoltre le origini e la struttura: non menzionando infatti gli insediamenti palafitticoli risalenti all’età del bronzo nella zona dello stagno che lo lambisce, ci si riferisce qui alle sue caratteristiche di borgo fortificato quale fu dal 1000 fino al 1600, secolo invece in cui mutò la sua tipica forma per diventare residenza dei Conti Arrighi.

Entrando, si attraversa una porta dotata un tempo di ponte levatoio, sovrastata da una torre quadrata di recente restaurata e resa praticabile e, lasciando alla propria sinistra la chiesa barocca dedicata a San Nicola, si percorre l’unica via che conduce allo spiazzo su cui si affaccia l’ottocentesca villa Arrighi e al sottostante laghetto, oasi faunistica e floreale di suggestiva bellezza e notevole interesse.
L’edificato è costituito da case in sasso e intonaco, generalmente a due piani, recuperate e molto ben mantenute, indice della cura profusa dagli abitanti per rendere gradevole la visita ai molti turisti che raggiungono questa località.

Per arrivare a Castellaro seguite la strada comunale che va da Pozzolengo a Cavriana: da qui infatti, poche centinaia di metri prima del borgo, si ha la possibilità di osservarne il caratteristico profilo, nonché il rapporto con il laghetto sottostante e la bella campagna che si estende ad ovest. Sempre da questo punto è possibile imboccare una strada bianca che gira intorno al laghetto, senza però avvicinarsi alle sue sponde, in larga parte coperte da una vegetazione autoctona piuttosto fitta che non permette facilmente di raggiungerne la riva.

Da qui a Monzambano, di cui Castellaro Lagusello è frazione, si apre una realtà rurale molto particolare, una “piccola Toscana” fatta di colline lievi e cosparsa di cascine che costellano il territorio, che sebbene non conosca quella sensazione e quel respiro più ampi tipici della sorella maggiore, resta davvero piacevole per il visitatore curioso e attento.

Volta Mantovana.

Volta Mantovana, godendo di una posizione geografica particolarmente piacevole, comunemente a quasi tutti i borghi mantovani si è dimostrato essere, fin dai tempi più remoti, un insediamento favorevole ad essere abitato.

Ciò che fa di Volta una meta per cui vale la pena fare una sosta è il Palazzo Gonzaga: è noto che questo patronimico risulti piuttosto diffuso nella zona e che sia sempre garanzia di vestigia di grande pregio artistico e storico. Sul territorio in cui si è stabilita e diffusa, la famiglia Gonzaga ha infatti detenuto con continuità un dominio secolare, permettendo di conseguenza uno sviluppo di tradizioni e costumi che tramandati sono giunti pressoché intatti ai nostri giorni.

L’autentico gioiello di questa località sono senz’altro i giardini del Palazzo; costruiti nel 1527 sono un bellissimo esempio di giardino all’italiana, sviluppati su due terrazze con balaustre, collegate tra loro da una scalinata. Solo in epoca più recente furono aggiunte due balze inferiori per le necessità dei marchesi Cavriani che abitavano l’edificio; furono infatti ideati per accogliere il teatro all’aperto per gli ospiti, tra l’esedra e la loggia che li delimitano sui lati corti e che avevano la funzione di scenografia e palcoscenico.

Il territorio mantovano è famoso tra l’altro per le sue tradizioni gastronomiche, le cui origini vanno ricercate nell’antica attenzione che la nobile dinastia mostrava nei confronti della buona cucina e dell’ospitalità. Il paese ricorda infatti l’esistenza di un vino tipico locale, ormai estinto, che risultò gradito anche alla corte di Francia: la Vernazza di Volta Mantovana. Rievocazioni storiche di antichi banchetti, ma soprattutto una diffusione capillare di locali, tra ristoranti e trattorie, perpetuano sapori che un tempo erano conosciuti da pochi e una varietà di piatti basati su prodotti locali, la zucca per prima, che rendono giustamente famosa questa terra.

Solferino.

Solferino, il cui nome è indistricabile dall’epica battaglia del 24 giugno 1859 che decise le sorti della Seconda guerra d’indipendenza italiana obbligando gli austriaci ad abbandonare la Lombardia e a ripiegare oltre il fiume Mincio, è un piccolo e bellissimo borgo sulle colline Moreniche del Lago di Garda.

Solferino un tempo era raccolto attorno alla roccaforte cinquecentesca di Orazio Gonzaga, il castello di cui restano solo la porta d’ingresso, una parte di mura, la torre di guardia e la chiesa di San Nicola, che si ergono oggi in piazza Castello, una delle più belle del Mantovano: di forma rettangolare, cinta in parte dalle antiche mura e in parte da una cortina di case, la piazza permette di godere di un ampio panorama che va sin oltre il Lago di Garda.

Il colle più alto del paese si erge solamente a 206 metri sul livello del mare, ma consente di dominare un panorama vastissimo. Lassù sin dal 1022 sorge una Rocca, una maestosa costruzione squadrata di 23 metri di altezza, acquisita nel 1315 dal signore di Mantova Rinaldo Bonacolsi detto “Passerino”, restaurata nel 1611, e che nel clima risorgimentale venne detta “La Spia d’Italia”, in quanto la sua terrazza sommitale risultava ideale per controllare i movimenti verso il Veneto e fino al Lago di Garda. Circondata dagli aguzzi cipressi di un ampio parco, la Rocca fu acquistata e ristrutturata nel 1880 dalla Società Solferino e San Martino. Nel suo piccolo museo si conservano cimeli rinvenuti sul campo di battaglia, mentre lungo la rampa che porta alla terrazza panoramica sono esposti documenti relativi alla storia della Rocca e alla zecca dei Gonzaga di Solferino e nella “Sala dei Sovrani” campeggiano i ritratti di Vittorio Emanuele II e di Napoleone III, i sovrani vittoriosi nella battaglia di Solferino sulle truppe di Francesco Giuseppe d’Austria.

La rilevanza storica di quel celebre episodio bellico fa sì che ogni angolo del paese in qualche modo ne faccia memoria. Innanzi tutto con il Museo del Risorgimento di Solferino e San Martino, fondato nel 1931, le cui tre sale espongono documenti, cimeli, armi e quadri relativi alla battaglia del 24 giugno 1859 e al Risorgimento in generale, con cimeli della storia italiana dal 1796 al 1870, ovvero dalla prima discesa di Napoleone in Italia alla presa di Roma. I visitatori possono soffermarsi davanti a carabine francesi, fucili austriaci, moschetti italiani. Ci sono poi corazze della Guardia francese, le uniformi complete degli zuavi francesi con i pantaloni rossi e il giubbetto blu, le bianche divise degli austriaci, oggetti d’uso quotidiano e i libretti personali di soldati francesi, tre marionette che riproducono divise di soldati francesi. Interessante il confronto fra un cannone francese da quattro libbre a canna rigata francese e un obice austriaco da 150 mm a canna liscia: il primo con la sua canna rigata assicurava una gittata doppia, fino a tre chilometri di distanza, e fu determinante nell’assicurare ai francesi la vittoria. Fra i documenti esposti nelle vetrine, un ordine autografo di Napoleone III, biglietto d’ingresso per l’ospedale militare  e persino la copia di un giornale persiano che riportava la notizia della battaglia. Infine, oltre a tele che ritraggono l’assalto degli zuavi, notevoli i sei ritratti dei generali francesi, opera del pittore veneziano Giulio Carlini. Accanto al Museo (che ha una sede distaccata a San Martino della Battaglia, nel comune di Desenzano – BS), una leggera salita e un viale di cipressi portano alla chiesetta di San Pietro in Vincoli, trasformata nel 1870 dalla Società in Cappella Ossario nel cui abside sono conservati 1413 teschi disposti senza distinzione di nazionalità, oltre ai resti di circa 7.000 caduti nella battaglia (solo quatro scheletri sono stati ricomposti). A sinistra dell’ingresso vi è un busto bronzeo di Napoleone III collocato nel centenario della morte dell’imperatore, sulla destra una piccola piramide di pietra che ricorda il generale francese Auger ferito il 24 giugno a Cà Morino e quindi morto a Castiglione delle Stiviere. Sulla facciata della chiesa due mosaici raffigurano san Pietro e il Redentore, sovrastati da una statua della Madonna con due angeli. Cinque busti di altrettanti generali francesi che caddero sul campo nella Campagna d’Italia (due di essi proprio a Solferino) si fronteggiano all’ingresso del Tempio.

Mercatino dell’antiquariato di Solferino: se siete appassionati di oggetti antichi, o semplicemente curiosi, segnate sul calendario la seconda domenica di ogni mese (da marzo a dicembre) e trascorrete qualche ora nella cinquecentesca Piazza Castello. Sarà una piacevole sorpresa imbattersi in un pezzo raro o in qualche oggetto particolare!

Monzambano.

Monzambano è splendidamente incastonato fra le Colline Moreniche a sud del Lago di Garda. La sua struttura architettonica più rappresentativa è il Complesso di San Michele, un insieme di edifici che caratterizza il piccolo borgo sin dai tempi più antichi e che è costituito principalmente da un castello e una chiesa consacrata all’Arcangelo Michele. Quest’ultima esiste almeno a partire dal 1400, ma è stata ricostruita e ampliata durante il XVIII secolo, più precisamente tra il 1743 ed il 1777, come ben dimostrato da una facciata che rimanda in maniera evidente alla fantasia e alla creatività tipiche dello stile barocco, nonostante siano riscontrabili anche alcuni richiami al neoclassicismo, ad esempio osservando l’alto basamento o il timpano triangolare. All’interno la chiesa presenta una struttura a navata unica (al tempo nota come “predicatoria”), con volto a botte sostenuto da cappelle a forma di nicchie che fungono da contrafforte. Ai lati della navata sono collocate sei cappelle con diversi altari dedicati al Crocifisso, alla Vergine e a diversi Santi, oltre che impreziositi da svariate opere d’arte del periodo.

Come già accennato, accanto alla chiesa sorge il Castello di Monzambano, un’antica roccaforte situata su un’altura che sovrasta il centro del borgo e che ancora oggi conserva inalterato il proprio impianto urbanistico. L’edificio è databile attorno all’XI secolo e con ogni probabilità è nato per difendere la popolazione dalle invasioni barbariche; nel corso dei secoli è appartenuto a diverse famiglie nobiliari del posto, prima di passare sotto il controllo diretto della Repubblica di Venezia a partire dal 1495 e, infine, tornare sotto Mantova in età napoleonica.

Un altro luogo fortemente legato alla storia di Monzambano e alla sua capacità di difendersi dalle invasioni straniere è il Ponte dei Carabinieri, una struttura famosa per avere fatto da teatro a una delle più importanti vittorie portate a casa dalle truppe locali: nel corso della Terza guerra di indipendenza (precisamente in data 24 giugno 1866) le truppe austriache invasero il comune, ma la fanteria e la cavalleria guidate dal generale Giuseppe Salvatore Pianell respinsero l’offensiva, salvaguardando l’indipendenza del territorio.

Il paesaggio di Monzambano è ricco di viti ed ulivi che crescono forti e rigogliosi grazie a un clima piuttosto mite e non a caso il comune ha ottenuto sia il titolo di “Città del vino” che quello di “Città dell’olio“. Più in generale l’intera area dell’Alto Mantovano è un vero e proprio scrigno che racchiude decine di prodotti tipici assolutamente deliziosi ed entrati nell’arte culinaria locale. Da queste parti il pilastro della tavola è senza ombra di dubbio il maiale, di cui non si butta davvero niente e da cui si confezionano affettati di assoluta qualità quali il cotechino, il prosciutto crudo, la pancetta e ovviamente il salame mantovano. Altrettanto degna di nota la produzione di formaggio Grana Padano, che è diffusa in maniera capillare in tutta l’area circostante Monzambano. Se parliamo di pasta dobbiamo citare per lo meno le fuiàde (ovvero le tagliatelle) asciutte o in brodo ed i bìgoi, un tipo di spaghetto molto robusto per via dell’alto numero di uova utilizzato per la sua preparazione. Il luccio è il pesce d’acqua dolce perfetto per entrare in sintonia con la tradizione locale e viene servito accompagnato da una salsa e da polenta fresca, morbida o abbrustolita. Per finire i dolci: tra i più famosi citiamo il sùgol, ovvero una crema dolce fata con farina di grano e le chisòle, ovvero le schiacciate, preparate con strutto fresco soprattutto in occasione della Festa di Sant’Antonio in data 17 gennaio.

Rivarolo Mantovano.

Tra Bozzolo e Commessaggio, appena sotto il fiume Oglio, si incastra il Comune di Rivarolo Mantovano. Il suo nome deriva da un corso d’acqua che correva attorno all’antica pieve di Santa Maria in Ripa d’Adda, sorta fuori dall’attuale centro. Ripa infatti significa riva. Lo stemma è un pesce che riconduce alla leggenda locale di un grosso pesce che salva dalla battaglia un guerriero portandolo a riva sul suo dorso. Territorio sviluppato dalla famiglia Gonzaga soprattutto da Vespasiano che, da buon architetto, ne disegna la planimetria. Le mura esterne vi sorprendono per la presenza di 3 monumentali porte di accesso. La caratteristica più importante del tessuto urbano del centro storico di Rivarolo è senza dubbio l’impianto ortogonale dei suoi tracciati stradali, che formano isolati regolari. Giungete alla piazza principale, denominata un tempo Piazza Grande (ora Piazza Finzi) su cui prospettano gli edifici più importanti, dal Palazzo Pretorio (ora sede comunale) al palazzo dei conti Penci, a tutti i fabbricati posti lungo i due lati più lunghi, che, oltre ad essere architettonicamente significativi, sono caratterizzati da un ampio porticato, dove trovano posto le principali attività commerciali. Infine menzioniamo Cividale, frazione di Rivarolo, che era la residenza estiva del Duca Vespasiano, dove si dedicava alla caccia e agli svaghi del tempo. Fate come lui e concedetevi una vera pausa da duchi in questo borgo gioiello.

Goito.

Goito è situato in una zona prettamente pianeggiate e che dalla città di Mantova dista 15 chilometri. La cittadina si trova in riva al fiume Mincio, fu patria di Sordello, e nota come importante fortezza, della quale rimangono una Torre e la struttura a scacchiera del borgo.
Costruito durante il periodo romano è uno dei centri più antichi della Lombardia.
Attraversando il ponte della Gloria, a sinistra si trova il monumento al Bersagliere e a destra il busto bronzeo del generale La Marmora. La basilica di San Pietro di stile barocco è stata costruita da Giovanni Maria Borsotto nel 1729. Vicino alla chiesa sorge Villa Moschini una delle dimore storiche costruite dai Gonzaga che nel 1500 raggiunse il suo massimo splendore. Degno di nota è anche il suo splendido parco.

Castel Goffredo.

Il territorio di Castel Goffredo è stato abitato fin dalla preistoria e vasti sono gli insediamenti dell’età del bronzo (1800-1200 a.C.). Importanti ritrovamenti hanno evidenziato una presenza etrusca, mentre numerosi sono gli insediamenti di epoca romana e la stessa impronta urbanistica di Castel Goffredo è ascrivibile a questo periodo storico.
Questa epoca è inoltre testimoniata da diverse epigrafi di cui alcune si possono far risalire alla famiglia di Publio Virgilio Marone, il grande poeta latino che, secondo il professor Nardoni dell’Università di Cassino, ebbe i natali nel territorio goffredese. Un bassorilievo longobardo del VII-VIII secolo, custodito presso l’Oratorio di San Michele, è il più antico segno della presenza cristiana in questa comunità. In età carolingia Castel Goffredo appartiene alla contea di Brescia. Terra di confine tra il bresciano, alla cui diocesi apparteneva, e il mantovano, si dona spontaneamente al Comune di Mantova, e quindi ai Gonzaga, nel 1337. Dopo alterne vicende (dominazione viscontea, gonzaghesca, di nuovo viscontea, veneziana e infine definitivamente gonzaghesca) nel 1515 Castel Goffredo diviene la capitale di un piccolo stato, comprendente anche Castiglione delle Siviere e Solferino, governato dal marchese Aloysio Gonzaga cui succedette il primogenito Alfonso. Questi, per ragioni legate alla successione del feudo, fu fatto assassinare, nel 1592, nella corte di Gambaredolo dal nipote Rodolfo, fratello di San Luigi, a sua volta vittima di una congiura popolare che portò alla sua uccisione sulla soglia della Prepositurale di Sant’Erasmo il 3 gennaio 1593. A seguito di questi avvenimenti, Castel Goffredo fu aggregata al Ducato di Mantova, con il quale passò sotto la dominazione austriaca nel 1707, poi francese (1801-1814) e poi nuovamente austrica. Nel 1848 Castel Goffredo fu il centro cospirativo antiaustriaco dell’Alto Mantovano e contò la presenza di numerosi patrioti capeggiati dal castellano Giovanni Acerbi, che diventerà in seguito intendente dei Mille di Garibaldi.
La congiura venne scoperta e portò come conseguenza la tragica pagina dei Martiri di Belfiore. Nel 1859, dopo la battaglia di Solferino e San Martino che coinvolse anche il territorio di Castel Goffredo la città venne aggregata al Regno di Sardegna e nel 1861 entrò a far parte del Regno d’Italia. Il 1925 segnò la svolta economica e industriale di Castel Goffredo: aprì infatti il primo calzificio, il NO.E.MI. destinato a scrivere la storia della industrializzazione dell’area.

Il cuore della città è costituito dalla rinascimentale Piazza Mazzini, coincidente con l’antico foro romano, verso la quale convogliano alcune delle vie del centro storico, fino al secolo scorso protetto da solide mura. Lungo i lati del rettangolo che costituisce la piazza si affacciano edifici carichi di storia, simboli dei poteri cittadini.

In primis citiamo la Chiesa Prepositurale di Sant’Erasmo; in stile rinascimentale è sistemata in modo asimmetrico rispetto all’asse della piazza; fu edificata nella seconda metà del Quattrocento, ampliata nel 1516 e poi ricostruita tra il 1588 e il 1590 da Bernardino Facciotto, architetto del duca di Mantova Guglielmo Gonzaga, per volontà del marchese Alfonso Gonzaga, signore di Castel Goffredo. Ha una facciata su due ordini con paraste e timpano. L’interno è a croce latina suddiviso in tre navate da colonne di marmo botticino ed è ricca di testimonianze artistiche tra le quali alcune tele variamente datate, un crocifisso ligneo già famoso nel secolo XV per le sue manifestazioni taumaturgiche, una bella statua lignea del‘400 raffigurante Madonna in trono con bambino. Preziosi sono anche gli altari marmorei magistralmente ornati di tarsie e pietre dure. Conserva dell’antica chiesa di Santa Maria del Consorzio, abbattuta per far posto a una civile abitazione, l’abside poligonale con volta a ombrello, alcune epigrafi aloysiane e il portale in marmo bianco (1532) posti sul fianco della chiesa, alcuni affreschi del Cinquecento ed il campanile quattrocentesco, con bifore e monofore.

Il Palazzo Municipale chiamato la “Casa del Comune” è un edificio risalente al 1330 e rimaneggiato nel 1490 edificato sulle strutture dell’antico Palazzo della Ragione del quale rimane la facciata con parte della loggia. In stile neoclassico, presenta la facciata divisa in due parti: al piano terreno la “Loggia delle grida” dove si riuniva la vicinia e sopra la sala consiliare dal soffitto affrescato che nell’Ottocento ospitava il teatro comunale e attualmente espone la raccolta comunale d’arte con opere riguardanti Castel Goffredo del Novecento.

Il Palazzo Gonzaga-Acerbi, risalente al 1350, occupa l’intero fronte settentrionale di piazza Mazzini. In stile neoclassico, subì diverse modifiche, la più importante nel Settecento. È stata la residenza di tutti i signori che si sono succeduti a Castel Goffredo, iniziando dai Gonzaga di Mantova.

La Torre Civica, di origine medievale, appartenne alla prima cinta muraria di Castel Goffredo, con i suoi 27 metri svetta su piazza Mazzini ed è popolarmente considerata il simbolo di Castel Goffredo. La sua fondazione risale al XIII secolo e dal 1438 vi è alloggiato l’orologio pubblico.

Il Torrazzo, di costruzione medievale con coronamento a sbalzo sostenuto da mensoloni, fu innalzato probabilmente nella seconda metà del XIV secolo ad uso abitazione del vicario rappresentante dei Gonzaga di Mantova. Sul lato sud corrono i portici medioevali, selciati nel 1838 con lastre arenarie di Sarnico, sotto i quali, ancor oggi, si aprono le vetrine delle numerose botteghe. Ricco di fascino è l’antico reticolo urbano Castelvecchio, che costituiva, prima del 1500, il centro urbano della città.

Nel centro storico si possono visitare altri due edifici sacri: la Chiesa dei Disciplini, sita nell’omonima via Disciplini. In stile rinascimentale, fu terminata nel 1587 a navata unica per conto della “Confraternita dei Disciplini”. Possiede un campanile seicentesco e all’interno sono presenti resti di affreschi della fine del XVI secolo sulla vita di San Giovanni Battista e il pregevole altare maggiore in marmi policromi del 1772, opera degli artisti rezzatesi Angelo e Giambattista Lepreni. Ora sconsacrata, attualmente è sede di importanti mostre ed eventi culturali. La Chiesa di San Giuseppe, in stile barocco situata in via Andrea Botturi; era nel Cinquecento un edificio adibito a scuderie e artiglierie dei Gonzaga. Con decreto del 1728 del principe Filippo d’Assia, governatore di Mantova, fu ceduto alla “Compagnia del Santissimo Sacramento” che, nel 1729, lo trasformò in luogo di culto, funzione che continua a ricoprire.

Tra i Palazzi accenniamo a Corte Gambaredolo, tipica corte rinascimentale costruita alla periferia est della città in via Ceresara agli inizi del Cinquecento per volontà del marchese Aloisio Gonzaga, era la residenza di villeggiatura dei signori “Gonzaga di Castel Goffredo“. Qui, nel 1592 fu assassinato Alfonso Gonzaga, marchese di Castel Goffredo. Vi risiedette anche Caterina Gonzaga, figlia di Alfonso, che nel 1615 fece erigere l’Oratorio di San Carlo. Attualmente si trova in parziale disuso. Palazzo Riva, edificato agli inizi nel Cinquecento e situato tra piazza Mazzini e via Roma, era la residenza cittadina della nobile famiglia Riva. Composto da due edifici, si conservano ancora al piano terreno il portale in marmo, un loggiato con colonne in marmo e al primo piano un salone impreziosito da affreschi e stucchi. Qui nel maggio del 1848 venne accolto Vittorio Emanuele II, futuro re d’Italia, ospite di Bartolomeo Riva. Villa Beffa in stile rinascimentale della seconda metà del XVI secolo, è sita in via Beffa a 2 km dal centro ed è appartenuta alla famiglia Beffa, residente a Castel Goffredo dal 1337.

Specialità culinaria di Castel Goffredo: il Tortello amaro è un tipo di pasta ripiena simile al raviolo ed è un prodotto agroalimentare tradizionale riconosciuto dalla Regione Lombardia, tipico del solo territorio di Castel Goffredo. Viene così chiamato per la presenza nel ripieno della balsamita, un’erba aromatica localmente chiamata erba amara, detta anche erba di San Pietro. Potete assaggiarlo nelle varie osterie e ristoranti sparsi per il territorio oppure comperarne un bel vassoio presso le gastronomie del paese (una la trovate proprio nella centrale Piazza Mazzini).

Riserva Naturale Le Bine.

Questo sito non c’entra nulla con i borghi ma, visto che siamo in zona, sarebbe un peccato non nominarlo per una bella passeggiata immersi nella natura. Le Bine è stata una delle prime Oasi del WWF Italia: nasce infatti negli anni ’70 del secolo scorso per tutelare la zona umida originatasi nel 18° secolo. Negli anni l’area, ormai diventata anche riserva naturale regionale del Parco Oglio Sud, ha cambiato notevolmente aspetto, assumendo quello attuale, caratterizzato da nuove zone umide, ampie fasce riforestate e una cascina interamente ristrutturata.
Il percorso inizia presso il ponte sul fiume Oglio, tra i comuni di Calvatone e Acquanegra sul Chiese (MN), dove potete parcheggiare nel piazzale di fronte all’ingresso della riserva. Il tragitto che vi porta alla Cascina Le Bine è su strada sterrata immersa nel verde e circondata da boschi di alberi e arbusti autoctoni, piantati a partire dal 1995, in sostituzione dei classici pioppeti industriali.
Una volta in cascina potrete continuare il cammino proseguendo verso il fiume, per arrivare all’argine, dove svoltando a sinistra, lo percorrerete fino alla strada di collegamento tra Calvatone e Acquanegra sul Chiese. A questo punto, potrete attraversare la strada e imboccare un breve tratto di ciclo pedonale posta in fianco alla provinciale, che in pochi minuti vi porterà al punto di partenza. In tutto il percorso si sviluppa in 5 km di lunghezza per circa un’ora e mezza di percorrenza.

Una lunga lettura per raccontare quanto è bella la nostra Italia, fatta anche di piccole realtà che a volte brillano più di una metropoli.

Alla prossima cari Outdoors!

Silvia Turazza – Redazione Garda Outdoors

Silvia Turazza

Secondo l’arte dell’onomanzia, il significato del mio nome è così descritto: “vive nei boschi, silvestre e selvaggia”. A volte il fato conosce la strada prima di te, e ti forgia con le esperienze più affini. Vivo del cuore del Garda a Castelletto di Brenzone. Appassionata di trekking, fotografia e scrittura, che unisco in piccole avventure. Se mi cercate, mi trovate nel bosco vista lago... con i miei Roberto e Gea.

Condividi l'articolo: